La grafologIA di domani ed il potere degli algoritmi.

 

L’intelligenza artificiale è davvero un pericolo per la sopravvivenza umana?

Quali sono i limiti connessi alla scrittura?


di Andrea e Francesco Faiello


Tutto parte da un bisogno di certezze e dalla necessità di ancorare le proprie ricerche scientifiche a ben precise soluzioni. Il dettaglio asserisce, per chi opera di parte o di ufficio, ad una netta esigenza di consapevolezze che, giocoforza, per mezzo delle nuove scoperte fornite dalla scienza, vengono completamente rivoluzionate e, forse soverchiate.

“L’uomo bicentenario”, film del 1999, diretto da Chris Columbus aveva messo, per primo, sotto lo sguardo dell’opinione pubblica dell’epoca la narrazione di un fenomeno che mettesse in discussione tutto ciò che è dato per acquisito, scontato, naturale: che sia l’uomo al centro del mondo, insieme a tutte le proprie postulazioni, non è più da tenersi in considerazione; che un robot divenga, invece, ampiamente classificabile come umano, insieme a tutte le caratteristiche che possono essergli proprie, perché impiantategli artificiosamente, diventa, tutto ad un tratto, realtà. “Uno è lieto di poter servire" era la frase ricorrente del protagonista, Andrew Martin ed oggi, alla luce di un nuovo modo di pensare, diviene sempre più attuale. Del resto: è ancora il robot che serve all’uomo.

Il mondo degli algoritmi conosce meglio di tutti le nostre abitudini, passioni, deviazioni, origini e fini di pensiero, smanie di ricerche, dettami di propensioni; riproduce, altresì, il meglio delle gestualità; ne ripete i gesti, anche quelli inconsci, in seguito ad uno screen di possibili imprinting e variazioni.

Il campo umano è avvisato: è possibile riferirsi a qualcosa che ci conosca meglio di chiunque altro, pure al netto delle plausibili, da sottolinearsi, plausibili molteplici espressioni. Il punto è proprio questo: il robot è e rimane un computer, ovvero quella macchina che, dagli anni ottanta, viene definita “l’imbecille automatico” che assume solo input, comandi pro e contro, di spegnimento ed accensione, bianchi e neri, ma non anche i grigi. Il computer non riesce a mitigare i comandi, né risponde a domande precise. È il calcolo la sua virtù, ma, al tempo stesso, il suo grandissimo limite. Ad ogni curiosità digitata, si attivano tutti i contemplati microprocessori insiti in ciascun sistema, e, presto, arriva, dal web, la risposta. Ma le sfocature, il reale significato resta comunque, ancora contrariis reiectis, da ricercare, da mitigare nel vastissimo computo di dati raccolti.

Ebbene: trasliamo il tutto al dettaglio degli umanoidi. Messo un seme, ne cogliamo il frutto, ovvero la logica risultanza che si riesce ad esprimere. Fornita un’attribuzione di senso, quale risposta? Se il discorso involge l’azione- reazione, sotto il profilo motorio, resta ancora molto di incompiuto. È in discussione la cd. “zona grigia”, cioè l’aspettativa di non reperire sempre e solo qualcosa che non rappresenti la diretta conseguenza di un atto. Pertanto: oltre l’algoritmo non c’è altro. Questo conosce solo la trasformazione di ciò che il processore presume possa interessarmi, ma non la realtà. Realtà che è fatta anche di divaricazioni, di contraddizioni, di notizie sfalsate, di enormi limitazioni derivanti, ad esempio, da sconnessioni fornite da episodi particolari, da involuzioni, da patologie che solo la vita può dare modo di esprimersi.

Un antico testo scritto in greco su un rotolo di papiro di 2mila anni fa, danneggiato durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., è stato decifrato da un team di studenti, grazie all’intelligenza artificiale. Il rotolo fa parte del famoso gruppo di papiri ritrovati nel XVIII secolo in una villa romana di Ercolano sepolta dall’eruzione. Si tratta dell’unica biblioteca pervenuta intatta dall’antichità ed è composta principalmente da testi filosofici greci, la maggior parte dei quali riguardanti il filosofo epicureo e poeta Filodemo di Gadara. Una sezione dalla raccolta della Villa potrebbe essere ancora nascosta sottoterra. I papiri ritrovati sono conservati a Palazzo Reale Napoli, nella sezione Officina dei Papiri Ercolanesi alla Biblioteca Nazionale.

Troppo fragili per essere svolti, molti rotoli sono rimasti inaccessibili finora ma, grazie alle immagini tridimensionali di tomografia computerizzata e ad algoritmi di intelligenza artificiale, sembra proprio che in un futuro prossimo sarà possibile leggerli nella loro interezza, o quasi. Youssef Nader, Luke Farritor e Julian Schilliger sono i tre giovani ricercatori che sono riusciti a vincere il Vesuvius Challenge, il concorso lanciato nel 2023 che avrebbe premiato chi per primo fosse riuscito a decifrare quattro frammenti di almeno 140 caratteri ciascuno dei papiri di Ercolano. Per la loro scoperta, i tre studenti hanno vinto un premio di 700mila dollari.

Usando scansioni tridimensionali di tomografia computerizzata del papiro “srotolato virtualmente” e, addestrando gli algoritmi di apprendimento automatico per il riconoscimento degli strati di inchiostro e delle lettere, i tre studenti, provenienti da Egitto, Svizzera e Stati Uniti, sono stati in grado di decifrare centinaia di parole su più di 15 colonne di testo, che rappresentano circa il 5% del rotolo.

I ricercatori hanno scoperto di avere sotto gli occhi un lavoro filosofico inedito, precedentemente sconosciuto, incentrato sui sensi e sul piacere. Il testo parla della musica, del sapore dei capperi e del colore viola, insieme alla descrizione di un possibile noto flautista, chiamato Senofanto, menzionato anche nei testi di autori quali Seneca e Plutarco. L’autore scriveva anche di come la disponibilità di certi beni possa influenzare la sensazione di piacere. Nella parte conclusiva del testo, in particolare, l’autore prende di mira i suoi avversari, che «non hanno nulla da dire sul piacere, né in generale né in particolare».

«Siamo rimasti tutti stupiti dalle immagini che mostravano» ha dichiarato Federica Nicolardi, nella giuria del Vesuvius Challenge e papirologa dell’Università di Napoli Federico II, che attualmente sta analizzando il testo. Queste nuove tecnologie potrebbero essere applicate per decifrare anche altri testi considerati illeggibili finora.

Appunto decifrare. Si ritiene allora che all’atto della composizione tecnologica di tale macchina, perché di macchina si parla, siano stati inseriti dati che rispondono eminentemente per risultanze; ma tali apparati non creano, né il pensiero, né l’idea di interpretazione se non per larghe maglie. E chi ha tradotto il latino o il greco sa bene che l’interpretazione del vocabolo o del costrutto è tutto. Del resto, proprio nella versione, lo studente deve cogliere il senso, snodare il pensiero e sciogliere il dettaglio reso implicito da molteplici espressioni, massime, periodi e costruzioni assolute. Pertanto: la macchina, il computer serve, ma fino ad un certo punto. Il reale risvolto sta nella attribuzione di senso.

Alla versione sta, dunque, l’interpretazione del “vocabolo” grafico ovvero di quel sistema segnico insito nelle strutture e costruzioni dettate dalla zona inconscia. È l’ambito di cui alla dinamica motoria e neuronale che, per l’effetto, si fa anche scritturale e produce dati che forniscono spunti per l’analisi tecnica. Analisi tecnica che è interpretazione e null’altro. Interpretazione su base psicologica, quindi umana. Vero è che chi compie indagini compie un lavoro, quanto agli strumenti di conoscenza a disposizione, meccanico, ovvero basato su una sorta di “proprio algoritmo” i cui rodaggi risultano irrobustiti con l’esperienza e risultano decifrati, di volta in volta, su una scala ampia di dati elaborati. Ciò non vuol dire che gli argomenti da elaborarsi restino sempre uguali a sé stessi e che le modalità di interpretazione possano risultare sempre ripetibili, senza ammettere divaricazioni, adattamenti e contestualizzazioni. E questo avviene perché il sistema di indagine varia da caso a caso, utilizzando o meno matrici riferibili ad una o ad altra spettanza scientifica. Questo perché il nostro algoritmo è radicato, insito in ciascuno dei modi di procedere ma non può risultare sempre identico.

Allo stesso modo: chi imita o dissimula ha in sé degli algoritmi. Siamo sul piano dei movimenti inconsci: vedi i cd. piccoli segni, ovvero quei tratti apparentemente impercettibili che sfuggono alla attenzione dello scrivente, o tutte le modalità di approccio che traducono la gestualità grafo- motoria. Ebbene, qui, gli algoritmi di ciascuno, ovvero il cd. imprinting, vengono costantemente messi alla prova e, come sappiamo, difficilmente (anzi, quasi a livello di impossibilità), si riesce ad uscire da quei meccanismi propri, perché rodati, immagazzinati nella fase della ideazione e riprodotti sul piano reale.

Il perito, l’esperto li riconosce, sempre sulla base della esperienza, ma una macchina sarebbe in grado di decifrarli o tradurli nella concreta essenza? E se sì, sarebbe in grado di motivarli. Resta il grande limite della interpretazione e della ricerca di significazioni metodiche che, solo all’esito di una approfondita indagine, è possibile desumere.

In realtà chi svolge il nostro lavoro è reietto anche nei confronti delle scale di valori scientifici che le dottrine occidentali propongono, pretendendo di rimettere in discussione anni e anni di ricerche e traducendo ciascuna significazione tecnica in chiave aritmetica: questo sta a questo, tale elemento a quest’altro. Così si svilisce tutto il senso dell’origine e materia della considerazione tecnica, ad esempio non valutando le divaricazioni, le contraddizioni e le risultanze da cui emerge che, pur in presenza di plurimi elementi o aspetti, se non c’è convinzione dell’operatore, non può esservi esito di indagine. Quindi, anche qui, l’algoritmo della comunione di intenti instaurata dai protocolli scientifici internazionali non regge e non funziona rispetto ad un quadro interpretativo maggiormente ampio che assume uno sguardo di cui ad una panoramica diversa che tiene insieme tutta la sfera di sensazioni e percezioni nel quadro di un convincimento scientifico.

Lo stesso per la firma digitale e tutto il grado di involgimento sulla firma grafo metrica, firma remota, firma avanzata. I recenti anni di dibattito hanno, univocamente, portato ad un’univoca soluzione: con le necessarie premesse che ineriscono alla ragionevole incognita circa la decifrabilità sul futuro della grafologia e, in generale, su tutto ciò che può succedere nella vita del dibattito giuridico- analitico, ad oggi, il dato, almeno per la categoria dei grafologi, è confortante. Sicuramente, gli analisti della grafia giocheranno ancora un ruolo importante, anche se presumibilmente il proprio campo sarà invaso dalla figura di altri professionisti che non esiteranno a partecipare alle operazioni tecniche sulla base di ulteriori comprovate competenze tecniche, quali quelle relative al funzionamento ingegneristico o strumentale di tutti i macchinari messi a disposizione dal giudice.

Ebbene: in tale chiave, si legga che l’algoritmo delle nuove tipologie di firme opera fino ad un certo punto e, conseguenzialmente, che nella perizia il dettaglio di indagine è ancora sottoposto al professionista che, pur variando rispetto ai tempi, il proprio impegno, resta ancora il dominus assoluto della analisi e della conduzione di essa.

Ciò che governa la grafologia - è ben chiaro - e, con essa, l’indagine peritale è la certezza, pure al netto di apparenti contraddizioni che, se motivate, non possono che arricchire il parterre di argomentazioni fornite dal consulente. Non giovano e non trova alcuno spazio, per la verità, gli algoritmi e le dinamiche meccaniche: questi si assumono quali funzionanti sulla base di criteri sempre uguali, determinati dagli input che soltanto un pc può assumere, pur discostando di poco i propri target, senza valutare quel “grigio” ovvero quella enorme zona franca che solo la persona dell’interprete è in grado di decifrare.

Quindi la scrittura non è in pericolo, né lo è la sua interpretazione e chi, lavorando ed operando nel mondo del diritto, se ne fa carico.

Per tutti noi c’è ancora speranza. Tranquilli.

Aprile 2024